VENERDÌ, 24 LUGLIO 2009 |
Pagina 28 – Commenti |
Risponde Corrado Augias |
CORRADO AUGIAS |
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Gentile dott. Augias, da quando ho perso mia moglie sei mesi fa a causa di un tumore, mi provoca disgusto e rabbia la sola idea che si possano imporre per legge idratazione e alimentazione forzata anche ai malati terminali. Affrontare l’argomento mi costa fatica, confesso d’aver interrotto più volte la scrittura perché prae lacrimis scribere non possum. Costoro non sanno di che cosa parlano, anzi forse qualcuno lo sa, ma agisce per calcolo politico. Se la legge sul testamento biologico fosse stata in vigore, mia moglie, giunta alla fase terminale di un tumore, impossibilitata a mangiare e bere, avrebbe dovuto esser tenuta artificialmente in vita per giorni o settimane perché il tumore continuasse la sua devastazione procurandole ulteriori sofferenze, da contrastare con la morfina. Quale sarebbe la volontà del Dio? Volere il male e la sofferenza per mia moglie e tutti quelli nelle sue condizioni? Allora perché si dovrebbero alleviare queste sofferenze con i farmaci? Lasciamo che questo Dio decida per ciascuno di noi non solo la morte, ma anche quanta sofferenza la deve precedere. Gabriella aveva predisposto il suo testamento biologico rispettato da tutti i medici. Il chirurgo che l’ha operata l’ultima volta, le ha descritto cosa si accingeva a fare, quali parti avrebbe rimosso e le conseguenze possibili. Gabriella ebbe così la possibilità di rifiutarne una parte che comportava conseguenze che non voleva, consapevole che, in ogni caso, non sarebbe stato risolutivo. Il miglior regalo di Natale che ho ricevuto da lei fu la storia di Filemone e Bauci trascritta a penna su un bel quaderno rilegato in pelle: purtroppo Giove non ci ha fatto il dono di trasformarci in due alberi che intrecciano le loro fronde in modo che nessuno potesse vedere la morte dell’altro. Carlo Boldi carlo.boldi@gmail.com Non vorrei aggiungere una parola a questa lettera piena di rimpianto e di amore. Leggo le dichiarazioni di coloro che si apprestano a votare un testamento rigido come un cappio che si stringerà alla gola di ognuno di noi. Parlano di ‘amore’, di ‘assistenza fino alla fine naturale della vita’; parole dissennate. La fine naturale della vita è un confine che segue la tecnologia medica, cambia secondo il tempo e il luogo. E’ uno strano dio quello in cui dicono di credere, un dio che soggiace alla scienza, rispetta i protocolli, muta parere a seconda del paese, più o meno evoluto, in cui il malato patisce la sua fine. Dal punto di vista civile è una sopraffazione della libera volontà degli individui. Ma anche da un punto di vista religioso non sono certo che costoro non dovranno un giorno rendere conto del male che procurano. |
Non credo che Augias scriva solo per "la Repubblica", sarebbe bene scriverlo sempre, con la data di pubblicazione