domenica 19 giugno 2016
La Sindone: a prova di scienza solo quando il risultato torna
Quando il metodo scientifico viene messo in soffitta
Mettersi a parlare della Sindone e della sua eventuale autenticità è terreno minato, come accade in Italia per tutti quegli argomenti che in qualche modo possono richiamare la religione, vedi ad esempio la teoria dell’evoluzione. In tutti questi casi avviene che gente normalmente logica e rigorosa mette tutta la sua razionalità nell’armadio e, pur senza ammetterlo, fa fatica a discutere su questi argomenti anteponendo il metodo scientifico al cuore.
Indubbiamente la Sindone è un oggetto molto interessante, e per certi versi poco chiaro. Lo è sicuramente per ciò che concerne la formazione dell’immagine, sebbene recentemente il chimico Luigi Garlaschelli sia stato in grado di replicarla usando soltanto tecniche che erano disponibili all’epoca (fonte), comprese le sue caratteristiche di immagine negativa e tridimensionale.
Però io qui non voglio assolutamente discutere se la Sindone sia veramente il telo che ha avvolto Cristo, o sia invece un falso, anche se una mia idea ben precisa ovviamente ce l’ho. In quello che segue mi interessa invece discutere del metodo. Il metodo usato per studiare la Sindone, che dovrebbe essere quello scientifico, e che da tanti “autenticisti” viene cavalcato e sbandierato negli studi sulla Sindone per motivarne l’autenticità, ma che viene all’improvviso messo da parte, maltrattato e strapazzato quando nelle misure c’è qualcosa che non torna, qualcosa che va contro i propri pregiudizi, qualcosa che mina la possibilità che la Sindone sia autentica. Su questo aspetto di metodo, facendo di mestiere lo “scienziato” (termine che gli scienziati non usano mai per chiamarsi), anche se non sono un sindonologo posso dire infatti la mia.
Prendo spunto quindi da questa intervista a Baima Bollone, uno dei principali sostenitori dell’utenticità della Sindone, medico patologo e quindi uomo di scienza, e che – come tale – dovrebbe usare quest’ultima per indagare la Sindone. L’intervista mi era stata gentilmente segnalata in un commento ad un altro articolo di questo mio blog, ed era troppo succosa per essere ignorata, perché riassume come, in fatto di Sindone, il metodo scientifico sia usato solo quando fa comodo.
sindone
Il metodo scientifico è innanzitutto una serie di comportamenti. Non ci sono regole codificate, ma è un misto di buon senso, logica e tecniche che servono in ultima analisi ad effettuare misure corrette dal punto di vista metodologico e contemporaneamente ad individuare ipotesi illogiche, evitare cattive interpretazioni dei dati e quindi non prendere, per quanto possibile, colossali cantonate.
L’indagine e le relative conclusioni sulla Sindone da parte di certi scienziati ci ricorda che gli scienziati sono anche esseri umani, e quindi pure per loro il cuore e il sentimento possono mandare il raziocinio a farsi friggere. Vediamo.
Intanto l’esordio dell’intervista: “l’autenticità della Sindone è scontata”, afferma Bollone, che quindi si sbilancia senza mezzi termini, affermando anche che la Sindone è “autentica come epoca”, passando come uno schiacciasassi sul fatto che esiste una datazione al Carbonio 14 che colloca la Sindone nel 14esimo secolo, con alta probabilità fra il 1260 e il 1390.
Sull’esame del C14 tornerò più avanti. Però qui ci sono due errori clamorosi e ingenui che un ricercatore non dovrebbe mai commettere. Bollone, che dovrebbe essere uomo di scienza, questi errori li fa entrambi.
Il primo è fare una ricerca per dimostrare una tesi che si crede già essere vera. Una regola base della scienza, quando si vuole testare un’ipotesi, è assumere che quell’ipotesi sia sbagliata, ovvero che sia vera l’ipotesi nulla. Per capirci, se si cerca l’esistenza di una particella, si assume che quella particella non esista; se si cercano gli effetti nocivi del cellulare, si assume che non ci siano effetti nocivi, etc. E quindi si va per prima cosa a guardare se i dati sono spiegabili assumendo l’ipotesi nulla. Solo se i dati sono assolutamente incompatibili con l’ipotesi nulla, si ha il permesso di cercare ipotesi alternative. Se il segnale del bosone di Higgs fosse stato spiegabile con quanto previsto dal semplice rumore di fondo (l’ipotesi nulla), non saremmo stati autorizzati a fare annunci sulla sua scoperta. Se un eventuale incremento di una certa malattia fosse spiegabile senza invocare l’uso del cellulare, niente ci autorizzerebbe a dare la colpa al cellulare. Insomma, se voglio cercare qualcosa che non so se è vera, parto sempre dall’ipotesi che non sia vera, e se trovo qualcosa che mi potrebbe indicare il contrario, cerco innanzitutto di smentirla in tutti i modi possibili! E’ un modo di procedere assolutamente fondamentale nella ricerca scientifica. E quindi se certe osservazioni sulla Sindone sono spiegabili assumento che la Sindone sia falsa, nulla ci autorizza ad affermare il contrario.
Il secondo errore grossolano si riallaccia direttamente al primo, ed è quello di ignorare i risultati scientifici che si oppongono alla convalida di questa tesi preconcetta. In gergo si chiama “confirmation bias”. Cioè tenere per buoni quei risultati che vanno nella direzione di provare quello che crediamo vero, e ignorare i risultati che invece lo smentiscono. E, nel caso specifico della Sindone, ignorare il risultato del C14. Invece, relativamente a questo test, o si dimostra (ma lo si fa veramente, non con ipotesi a caso, come vedremo più avanti) che la datazione del C14 è sbagliata, oppure non si può semplicemente ignorarne il risultato perché va contro le nostre convinzioni sull’autenticità della Sindone. Invece Bollone, e tutti gli autenticisti, il C14 lo menzionano solo di straforo, del tipo: “…e poi ci sarebbe pure il C14, ma quello vabe’, è sbagliato di sicuro, figuriamoci se la Sindone, la cui autenticità è scontata, può essere del 1300!”. E’ il metodo scientifico buttato nel cesso e la catena tirata. E prima che il gallo canti verrà tirata molto più di tre volte…
Ad esempio un’affermazione di Bollone che dovrebbe indurre qualunque scienziato a riflettere è che “la Sindone ha una perfetta corrispondenza con i Vangeli”. Affermazione che lascia sottintendere che, mostrando la Sindone l’immagine di un uomo crocifisso come dicono i Vangeli, questo rafforza la probabilità che sia vera. L’errore grossolano è ignorare che, assumendo l’ipotesi nulla, e cioè che la Sindone sia un falso, si può dire con altrettanta plausibilità che essa ricalca perfettamente quanto descritto dai Vangeli. Insomma, se uno vuol fare un falso e farlo passare per l’impronta del corpo di Cristo, gli ci mette le stimmate, i segni delle frustate, il sangue sulla testa dovuto alla corona di spine, sul costato etc. Se vuole fare un falso credibile prende i Vangeli e li copia al millimetro! Non dico che questo indichi che la Sindone sia falsa, ma piuttosto che in nessun modo questa constatazione possa portare indizi verso l’autenticità della Sindone, perché qualunque Sindone falsa avrebbe comunque ricalcato i Vangeli! E se si parte (come qualunque scienziato serio dovrebbe fare) dall’ipotesi che essa sia un falso, questa osservazione è perfettamente consistente con quello che ci si aspetta da un falso. Il fatto che, eventualmente, sarebbe anche consistente con l’ipotesi che la Sindone fosse vera, non significa nulla in questo caso, così come avviene per qualunque “rumore di fondo”, che per definizione è indistinguibile dal fenomeno cercato. La consistenza dell’immagine della Sindone con in Vangeli è, in pratica, assolutamente ininfluente per quello che riguarda la sua autenticità.
E il discorso è analogo per la questione del sangue che sarebbe presente sulla Sindone. Infatti, anche ammesso che ci sia sangue, cosa che peraltro è tutt’altro che scontata, volendo realizzare un falso molto probabilmente l’autore ci avrebbe messo del sangue. E quindi, di nuovo, la presenza di tracce ematiche sulla Sindone non porta nulla a favore della sua autenticità.
L’altra affermazione di Bollone spacciata per prova, o comunque come contributo all’insieme delle prove, e che invece è ancora una volta solo un altro svarione di metodologia scientifica, è che in un magazzino a Templecombe, in Inghilterra, è stato trovato un pannello di legno, datato 1280 (peraltro compatibile con l’età della Sindone “falsa”), con un’immagine disegnata che ricorda quella del volto sindonico. Questo potrebbe provare che il famoso telo è appartenuto per un certo tempo ai Templari, e sarebbe stato contenuto nell’eventuale cassa (di cui non vi è traccia) di cui questo legno sarebbe stato il coperchio. Questo, dice Baima Bollone, andrebbe a supporto della sua autenticità. Cerco di tradurre spiegando: gli autenticisti ipotizzano che la Sindone, prima della sua comparsa ufficiale nella storia, cioè a metà del 1300, sia appartenuta per un certo tempo ai Templari, che l’avevano trafugata in oriente, dove sarebbe stata custodita. Siccome i Templari sembra siano stati a Templecombe, il ritrovamenteo di un legno con un volto simile in sembianze a quello della Sindone proverebbe che esisteva un contenitore (di cui il legno sarebbe stato il coperchio) dove era contenuta la Sindone. E quindi la Sindone sarebbe autentica.
A parte la storia un po’ tirata per il collo, c’è di nuovo un errore grossolano nel metodo, e cioè che tutte le raffigurazioni medievali di Cristo somigliano alla Sindone! Capelli lunghi, barba divisa in due, baffi. A Templecombe come in Italia, come in qualunque luogo dove gli artisti raffiguravano Cristo (e non solo lui, per la verità). E quindi in base a quale meccanismo logico si può affermare che se quell’immagine è così è perché è stata copiata dalla Sindone? Sempre assumendo valida l’ipotesi nulla, ovvero che la Sindone è un falso, è normale che sia la Sindone ad assomigliare a quell’immagine perché all’epoca le immagini di Cristo si assomigliavano tutte già da qualche secolo.
Per inciso, per alcuni secoli Cristo non è mai stato raffigurato in nessuna forma artistica nota (fonte). Le prime raffigurazioni di Cristo, in molti casi senza barba e diverse da quelle medievali, risalgono al quarto secolo. E, dato che attorno all’anno zero non esistevano cellulari o videocamere, è abbastanza difficile supporre che, dopo quasi 400 anni di oblio, esse fossero riproduzioni realistiche delle sembianze di Cristo. E il fatto che la Sindone venga datata del 1350 o giù di lì, epoca in cui peraltro compare esplicitamente per la prima volta anche nei resoconti della storia, in un periodo in cui la raffigurazione di Cristo con barba, baffi e capelli lunghi era già ben consolidata, dovrebbe quantomeno instillare qualche dubbio. Dubbio che però Baima Bollone non ha, tanto da fargli affermare in modo perentorio che “l’autenticità della Sindone è scontata”.
Ma veniamo al test del C14. Il test non è certo una novità, e viene usato da molto tempo, se ne conoscono le tecniche, le sistematiche (gli effetti che possono alterarne il risultato) e i limiti di applicabilità. Qui, di nuovo, Bollone (e non solo lui, ma tutto il gruppo di sindonologi fideisti) commette una nuova serie di errori di metodo.
Il primo errore è ipotizzare che il campione analizzato sia stato contaminato perché manipolato nelle epoche successive, senza tuttavia specificare un’informazione fondamentale, e cioè quanto dovrebbe essere stato contaminato per far apparire qualcosa vecchio di 2000 anni come se avesse solo 650 anni. Una regola fondamentale del procedere scientifico è che, quando si fanno ipotesi per spiegare un fenomeno, bisogna quantificarne gli effetti in modo da poter controllare se sono compatibili con l’esperimento. Altrimenti si sfocia nella pseudoscienza, dove le ipotesi, le teorie, non hanno mai un numero appiccicato, uno straccio di previsione numerica, e ci si sente liberi di affermare qualunque cosa. Come gli sciachimisti, che gli basta una tanica di non si sa cosa per riempire di sostanze nocive centinaia di milioni di chilometri cubi di atmosfera che servirebbero a scatenare tornadi e terremoti. Qui uguale: bisogna saper dire quanto un’eventuale contaminazione potrebbe influire sulla datazione. E se non ci pensa Bollone, al posto suo ci pensano gli esperti del C14 che hanno fatto la misura, che ci spiegano che la quantità di materiale necessaria per spostare di 1350 anni la datazione della Sindone sarebbe dovuta essere assurdamente grande, e quindi l’ipotesi della contaminazione non regge proprio. Altri hanno invece ipotizzato che il campione da datare col metodo del C14 sia stato ritagliato da un rammendo posticcio. Poco importa che uno degli esperti che hanno ritagliato il campione fosse un docente di tecnologia dei tessuti presso il Politecnico di Torino, perché, secondo alcuni, il rammendo era così perfetto da essere invisibile. Mi viene in mente l’ispettore Clouseau quando straccia il vestito di una signora in uno dei suoi film e poi dice col suo indimenticabile accento: “non c’è problema, adesso fanno dei rammendini invisibili!”. Nella Sindone c’era evidentemente un rammendo talmente invisibile da essere visibile solo con la fede. Che gli si risponde a uno così? Un sommario su questo argomento specifico si trova qui, con tutte le referenze specifiche all’interno.
L’altro errore di metodo veramente grossolano è affermare quindi che il punto della Sindone in cui è stato ritagliato il campione su cui è stato effettuato il test del C14 non andava bene, perché poteva essere stato maneggiato in epoche successive, perché c’era un rammendo, perché la contaminazione era funzione della distanza (in modo che, estapolata lungo il telo avrebbe riportato la Sindone alla data giusta nel punto giusto, vedi qui). A parte che la risposta è stata comunque appena data qua sopra, qui c’è un altro errore veramente grossolano della metodologia scientifica. E cioè che, in tutti i test in cui si cerca un dato fenomeno, le metodologie e il modo di procedere dell’analisi si stabiliscono prima di fare le misure. Si chiama “protocollo” dell’analisi. E invece qui stanno sostanzialmente dicendo che se veniva dell’anno zero allora il punto in cui hanno preso i campioni andava bene, ma siccome viene del 1300 allora c’è qualcosa che non va. Nonostante la procedura per raccogliere i campioni e effettuare l’analisi fosse stata concordata in anticipo. E questo sarebbe un modo di procedere scientifico? Non funziona mica così la scienza! Faccio un altro esempio, così magari è più chiaro. Supponiamo che venga uno che affermi di saper prevedere con la mente le uscite dei dadi. Se si vuole fare un test serio si concorda con lui una procedura di test prima di fare l’esperimento, e si concorda anche cosa vuol dire “indovinare”, cioè quante volte dovrebbe indovinare su N prove per affermare che è realmente capace di indovinare. Non è che se non riesce a indovinare può permettersi di dire “beh, ma proviamo adesso con il mio dado che il tuo magari è contaminato dal sudore”, né può provare e riprovare finché non indovina e poi dire “Visto? So indovinare!”. Qui con la Sindone si sta facendo proprio il trucchetto del tipo coi dadi: visto che non è venuto il risultato che gli autenticisti si aspettavano, si dice che la procedura di test, sebbene all’inizio concordata fra le parti, in realtà non andava bene. Se invece fosse venuto che la Sindone era vecchia di 2000 anni, avrebbero ugualmente messo in dubbio la procedura?
E poi la perla: la spiegazione del perché la misura del C14 non viene quella “giusta”: la resurrezione! La resurrezione mette a posto tutto: spiega la formazione dell’immagine (che è una specie di strinatura) in base a una grande emissione di energia, e anche il cambiamento isotopico del Carbonio, perché è noto che la resurrezione è associata ad un’intensa emissione di particelle nucleari! Non è ironia da parte mia, lo dicono veramente nell’intervista! Ascoltare per credere! E c’è anche questo incredibile lavoro presentato a un convegno sulla Sindone, che si intitola, tradotto dall’inglese: “Analisi dei neutroni emessi dal corpo di Gesù durante la resurrezione”, che spiega come il flusso di neutroni emesso durante la resurrezione aggiusti perfettamente la datazione del C14, e già che ci siamo anche quella del telo di Oviedo, che sarebbe il sudario posto sul viso del Cristo. Su questo telo macchiato di sangue alcuni sindonologi hanno infatti trovato “perfette” corrispondenze con la Sindone (cercate in rete l’immagine del telo di Oviedo e decidete voi se le coicidenze sono “perfette”). Il problema è che il telo di Oviedo è stato datato col C14 attorno al 700 dopo Cristo (fonte). Ma questo non ci deve scoraggiare, perché l’articolo spiega che, essendo stato posto un po’ più distante dal punto di emissione dei neutroni della resurrezione, sul telo sono arrivati meno neutroni che sulla Sindone, e quindi il telo si è ringiovanito un po’ meno. Tutto normale quindi.
L’articolo è talmente demenziale che meriterebbe un approfondimento dedicato. Ad esempio quando dice che, siccome il corpo con la resurrezione scompare (lo sanno tutti, no?), gli atomi del corpo di Cristo devono essere passati in un altra dimensione grazie a un processo fisico sconosciuto. Tuttavia non c’è motivo di escludere che, in questa fase, siano stati emessi neutroni in quantità, che assorbiti dall’azoto si sono trasformati in C14. E guarda caso questi neutroni erano proprio dell’energia giusta per produrre C14 (questo dell’energia giusta l’autore dell’articolo se ne è dimenticato, ma glielo dico io: se la resurrezione emette neutroni ma dell’energia sbagliata, non se ne fa niente col C14). Non solo, ma anche il numero di neutroni giusto per far apparire la Sindone del 1300 che, guarda caso, è proprio il periodo in cui se ne comincia a parlare nei resoconti storici. Cosa sono le coincidenze, eh?
Sul fatto poi che la scomparsa di 70 Kg di massa (più o meno la massa di un essere umano) implicherebbe l’emissione in energia di qualcosa come un migliaio di MTons, ovvero qualche decina di volte il più potente ordigno nucleare mai esploso, il nostro scienziato tace. Evidentemente la fisica della resurrezione riesce a far passare inosservato un evento simile.
Nonostante tutto questo dal punto di vista scientifico sia raccapricciante, Baima Bollone nell’intervista dice che questa dei neutroni è un’ipotesi largamente condivisa, e che lui non ha motivo di opporvisi. Avrebbe poturo dire che l’ipotesi di Batman è largamente condivisa e che lui non ha motivo di opporvisi e non avrebbe detto niente di scientificamente meno rilevante di quello che ha detto. Certo che se ai congressi di Sindonologia parlano di queste cose… Speriamo solo che tutte queste radiazioni non siano dannose per il neo risorto, perché sarebbe una vera beffa! Risorgi e poi ti becchi il cancro tempo sei mesi!
E poi gli autenticisti non si accorgono di un altro erroruccio pacchiano. Sindonologi, decidetevi, o la datazione col Carbonio 14 è venuta male perché hanno preso il campione in un punto sditazzato nei secoli, oppure perché il campione era un rammendo (invisibile), oppure grazie alla resurrezione. Una delle tre! Non è che potete dire che, sì, il Carbonio 14 è stato falsato dalla contaminazione, e poi c’era anche un rammendino invisibile, ma nel caso non bastasse c’è comunque la resurrezione che come si sa produce tutti quei neutroni e sistema perfettamente le cose.
Scusate, ma a questo punto ho bisogno di commentare: maporcaputtanaporca! Speriamo solo che Galileo non legga mai questa roba, che non gli capitino mai in mano i proceedings di un congresso di sindonologia, altrimenti chiede il permesso pure lui di risorgere e ci fa un culo così a tutti quanti! Insomma, lo sapevo che finiva così. Ero partito per scrivere un articolo serio e pacato, ma mi sto sbracando proprio sul finale. Giuro che stavolta ce l’avevo messa veramente tutta, però quando uno legge certe cose… eccheccazzo!
PS. Ringrazio Andrea Nicolotti, del Dipartimento degli Studi Storici dell’Università di Torino, che mi ha indicato alcune imprecisioni (che ho corretto) sul ritrovamento di Templecombe e sul periodo e il luogo in cui sarebbe stata custodita la Sindone dai Templari.
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