La bomba europea

da Il Fatto Quotidiano di mercoledì 9 febbraio 2011

La bomba europea

Mentre il governo promette aiuti all’economia Bruxelles prepara la mannaia da 50 miliardi all’anno

di Stefano Feltri

“Ma in Italia non discutete di quello che succede qui?”, chiedevano ieri ai negoziatori italiani al tavolo di Bruxelles dove di solito si riunisce l’Ecofin. Risposta: no, qui il tema del giorno è il Consiglio dei ministri che approva i provvedimenti di spesa del governo a sostegno dell’economia, qualche sgravio fiscale per le imprese, l’ennesimo piano per il Sud. Silvio Berlusconi attende con impazienza il momento di annunciare finalmente spese invece che tagli imposti dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Le misure saranno quasi simboliche ma a loro modo storiche, perché rischiano di essere gli ultimi provvedimenti di spesa dei prossimi trent’anni.

 

IL NEGOZIATO su quella che, con un eufemismo, si chiama “nuova governance europea” sta prendendo una brutta piega. Sulle posizioni dell’Italia ormai c’è soltanto la Grecia che ha fatto due conti e ha capito che forse la bancarotta è meglio del risanamento secondo i nuovi parametri del Patto di Maastricht. I tecnici che rappresentano i ministeri del Tesoro dei 27 Paesi membri dell’Unione, infatti, in queste ore stanno discutendo i dettagli del pacchetto di misure che ridisegnerà la faccia contabile dell’Europa. Al momento l’Italia tiene il veto sul più delicato dei sei provvedimenti in discussione. Un regolamento, cioè una legge europea che entra automaticamente in vigore nell’ordinamento nazionale senza ulteriori passaggi, che impone di portare il rapporto tra debito e Pil al 60 per cento. L’Italia al momento si avvia a sfiorare il 120 per cento.

Oltre alla Grecia, che rischia di non sopravvivere a una simile cura (è al 127 per cento) soltanto l’Italia si oppone all’introduzione di un parametro così vincolante, che traduce in una correzione obbligatoria annuale un parametro che nei 19 anni di storia del Trattato di Maastricht è rimasto sulla carta. Spagna e Portogallo hanno chinato la testa, privi di potere negoziale perché presto potrebbero aver bisogno del Fondo salva-Stati europeo, l’Irlanda che già sta ricevendo aiuti praticamente non può parlare. La resistenza a oltranza dell’Italia, spiega chi conosce le logiche dei negoziati europei, è destinata a cadere a breve. Perché la presidenza di turno ungherese dell’Ue conta di arrivare al Consiglio europeo di inizio marzo con una sostanziale unanimità, così che i provvedimenti sulla governance economica possano continuare il loro percorso sul binario parallelo del Parlamento europeo. Al momento la linea di Tremonti è chiara: resistere, resistere, resistere. Ma la crisi politica interna sta togliendo all’Italia quel poco di peso europeo che le era rimasto.

 

IL MINISTRO è consapevole di cosa significa questo negoziato per il Paese. Basta fare due conti. La proposta della Commissione europea di settembre, che è la base per i negoziati attuali, prevede un rapido aggiustamento del rapporto tra debito e Pil fino ad arrivare al 60 per cento. Riducendo l’eccesso di debito di un ventesimo all’anno: almeno 40-50 miliardi annui. Perché, oltre ad avere un avanzo primario (entrate meno spese) di questa colossale entità, bisogna comunque pagare gli interessi sul debito (circa 75 miliardi all’anno). Al confronto la manovra estiva da 25 miliardi, che si accontentava di limitare gli aumenti di spesa, sembrerà appena un aperitivo. Certo, se ci fosse davvero il nuovo miracolo economico promesso da Berlusconi con una crescita annuale del 3-4 per cento, la correzione sarebbe molto più leggera (ci penserebbe l’aumento del Pil a far migliorare il rapporto con il debito). Ma uno studio del Boston Consulting Group pubblicato ieri proprio sul “Consolidamento fiscale dell’Europa” avverte di non farsi illusioni: il risanamento dei conti può passare soltanto da drastici provvedimenti di austerità, non sarà la crescita   di qualche punto percentuale del Pil a risolvere i problemi. “Il consolidamento è inevitabile. Misure credibili verso un riequilibrio di spese ed entrate e, nel lungo periodo, ripagare l’eccesso di debito sarà necessario prima che i Paesi tornino all’equilibrio dei conti”, scrive il Boston Consulting Group che individua quattro Paesi in situazioni critiche: Grecia, Portogallo, Irlanda e Italia. Cosa significhi un risanamento come questo è difficile anche da immaginare. Non è certo un caso che proprio in queste settimane Giuliano Amato abbia aperto un dibattito sulla necessità di un’imposta patrimoniale.

 

LA TATTICA di Tremonti è chiara: guadagnare tempo. L’unica cosa su cui può intervenire l’Italia è la finestra concessa prima che scattino i nuovi parametri, che sarà tra uno e tre anni. Si tratta anche sul peso da dare ai “fattori rilevanti” nel calcolo della cura da somministrare: Tremonti ha ottenuto che si considerasse l’indebitamento privato (che in   Italia è basso). Ma si definirà in un secondo momento quale effetto mitigante avrà sulla correzione. Piccolo problema: i vantaggi tattici dell’Italia su questo tavolo sono messi in pericolo dalla linea oltranzista nel mantenere il veto sul regolamento sul debito. E quando il Consiglio europeo di marzo darà il via libera politico – se l’Italia toglierà il veto – i mercati finanziari faranno quello che fanno sempre: anticipare a oggi gli effetti di eventi futuri. Cioè si aspetteranno che se un Paese prevede di dover tagliare 50 miliardi tra due anni inizi a risparmiare e a mettersi in riga da subito, invece che continuare come se niente fosse. Se il risanamento non comincia, insomma, gli investitori concluderanno che l’Italia non è in grado di risanarsi. Con le inevitabili conseguenze sul mercato obbligazionario: riduzione del prezzo dei titoli in circolazione e aumento del rendimento (cioè del costo per lo Stato) dei titoli di debito da emettere nel 2011, pari a poco più di 150 miliardi di euro. Francia e Germania hanno imposto che a marzo si parli assieme di debito e del futuro del Fondo Salva Stati che scade nel 2013: se non si accettano le regole sulla finanza pubblica, niente protezione europea in caso di perdita di fiducia degli investitori. Meglio cedere, quindi, altrimenti collocare quei 150 miliardi e i quasi 200 del 2012 sarà parecchio più complicato.

 

MEGLIO QUINDI godersi il clima di questo consiglio dei ministri, convocato all’alba (8 di mattina), perché simili atmosfere non saranno frequenti nei prossimi anni. Soprattutto se passa la linea più dura che assegna a Bruxelles il controllo di fatto sulla spesa pubblica. “Forse non sarà poi così male perderlo, questo negoziato”, si sussurra nei corridoi di via XX Settembre, al ministero del Tesoro. Di sicuro per Tremonti è meglio gestire   da premier – una fase di emergenza che ritrovarsi a essere l’unico guardiano dei conti mentre il resto della maggioranza si imbarca in improbabili spese pre-elettorali.

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