grandi infrastrutture, ponte sullo stretto, ma 5000 morti sulle strade sono reali e i soldi per la manutenzione non ci sono.

Fin’ora c’è solo l’effetto annuncio per le grandi infrastrutture, ma nonostante le tasse di circolazione e le accise sulla benzina per la manutenzione stradale non arriva niente.
Da Il Fatto Quotidiano di martedì 3 novembre

CINQUEMILA MORTI MA PER LE STRADE NON C’È UN EURO

In Finanziaria spariscono i fondi per la manutenzione

di Daniele Martini   

Manutenzione delle strade zero. Mentre il ‘governo del fare’ continua a baloccarsi con il Ponte sullo Stretto, sapete quanto stanzia davvero con la Finanziaria
2010 per tenere in sesto le grandi vie di comunicazione, cioè i circa 22 mila chilometri di pertinenza dell’Anas? Zero euro, appunto. Niente. Nonostante
il piano quadriennale di investimenti dell’azienda pubblica delle strade prevedesse per l’anno prossimo un fabbisogno di 1.660 milioni. Un dato che fa
impressione, tanto più perché spunta proprio alla vigilia del World Day of Remembrance delle vittime della strada dichiarato dall’Onu per il 15 novembre.
Tra la manutenzione e i morti sull’asfalto, infatti, la relazione è strettissima: più le vie sono maltenute, più cresce il tasso di incidentalità. Lo suggerisce
l’esperienza e lo ha stabilito anche un gruppo di ricercatori dell’università Federico II di Napoli, i quali hanno calcolato che almeno il 40 per cento
dei sinistri è collegabile alle condizioni delle vie di comunicazione, dai guard rail spesso non a norma alla segnaletica approssimativa o addirittura
sbagliata all’asfalto traditore, gibboso o pieno di buche e irregolarità. Non occorre essere scienziati per intuire quali saranno le conseguenze delle
scelte del governo. In una recente audizione alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il presidente dell’Associazione dei costruttori (Ance), Paolo
Buzzetti, lo ha ricordato ai parlamentari: “L’assenza del contributo annuale in conto capitale provocherà il blocco della regolare attività dell’ente stradale,
con gravi conseguenze sullo sviluppo e la manutenzione di tutta la rete”.    Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, però, forse
non riuscendo a recuperare risorse per gli opportuni investimenti, preferisce parlar d’altro alimentando la convinzione che l’ecatombe stradale sia imputabile
solo ai comportamenti sbagliati di automobilisti e motociclisti e quindi punta l’indice sullo sballo del sabato sera, gli ubriachi al volante, la velocità,
le distrazioni, la guida spericolata, l’impasticcamento e via dicendo. Giornali e tv rincarano la dose, come fosse verità rivelata. E invece è solo un
pezzo di verità. Che rischia di diventare una bugia se non accompagnata dalla constatazione che le strade italiane sono quelle tenute peggio d’Europa.
Coerente all’idea che sia tutta colpa degli automobilisti, il Ministro ha lanciato una campagna pubblicitaria per esortarli a tenere comportamenti più
civili, con testimonial di sicuro effetto, da Maria Grazia Cucinotta al campione di scherma Aldo Montano alla tuffatrice Tania Cagnotto. Il leit motiv
dell’iniziativa è Sulla buona strada. Peccato che di buono sulle vie di comunicazione italiane sia rimasto davvero poco.    Gli effetti dell’incuria sono
devastanti. Gli incidenti sono la prima causa di morte nella fascia di età fino a 40 anni, in un anno ce ne sono stati 231 mila con 5.131 morti (10 volte
i caduti sul lavoro e 100 volte più di tutti gli altri sistemi di trasporto messi insieme, dall’aereo alla nave al treno) e 326 mila i feriti. Ai costi
umani si sommano quelli sociali ed economici, dai risarcimenti delle assicurazioni alla perdita di produttività per gli infortuni e i decessi. Secondo
l’ultima valutazione disponibile, gli incidenti stradali costano al sistema Italia la bellezza di oltre 30 miliardi di euro all’anno, circa il 2 per cento
del Pil, quanto un paio di manovre Finanziarie pesanti. L’incuria si abbatte anche sulle imprese, non solo quelle che hanno bisogno come il pane delle
strade per farci viaggiare le merci, ma anche le circa 5.000 aziende specializzate nella manutenzione con 50 mila occupati, dalle ditte dell’asfalto a
quelle della segnaletica. La percentuale di fallimenti tra questo tipo di società è di gran lunga superiore a quella purtroppo in crescita degli altri
settori produttivi. Per un motivo semplice: mentre su queste ultime si scaricano solo gli effetti della crisi, su quelle della manutenzione pesa anche
un altro fattore di lunga durata e cioè il calo delle commesse iniziato anni fa. Fin dai tempi di quello che gli addetti ai lavori chiamano il ‘federalismo
stradale’, provvedimento voluto dal ministro Franco Bassanini all’epoca del governo di centrosinistra della fine anni Novanta. In base a quella legge migliaia
di chilometri di strade sono passati dall’Anas alle Regioni e se l’Anas spendeva assai poco per migliorare le strade (appena 7.000 euro a chilometro, rispetto
ai 20 considerati necessari), alcuni Governatori hanno deciso di spendere anche meno.    Per invertire questa tendenza ci vorrebbero investimenti: il confronto
con il resto d’Europa è umiliante. Secondo il Libro bianco sulla sicurezza stradale, mentre in Italia per le strade si spende in media 1 euro per abitante,
in Svizzera spendono 26 euro, Svezia 23, Francia 22, Belgio 10, Regno Unito 5. Eppure le risorse, a volerle trovare, ci sarebbero anche in Italia. Secondo
uno studio dell’Anfia (l’associazione della filiera dell’industria automobilistica) il carico fiscale sul settore, dalla tassa di immatricolazione al bollo,
in 5 anni è cresciuto di quasi il 10 per cento arrivando a circa 80 miliardi di euro. Quasi niente di questa montagna di quattrini, però, ritorna sulle
strade. “Non si può soltanto prendere dalle tasche degli automobilisti”, ammonisce Enrico Gelpi, presidente dell’Automobile Club (Aci). Poi ci sarebbe
tutto lo stock delle multe stradali, un tesoro di circa 1,2 miliardi. In base al Codice della strada il 50 per cento delle multe locali e il 20 per cento
di quelle nazionali (Polizia stradale, Carabinieri, Guardia di Finanza) dovrebbero andare alla manutenzione delle strade. Ma nessuno lo fa, anche perché
finora non erano previste sanzioni per gli enti inadempienti. Confindustria e Finco (Federazione delle imprese di prodotti per le costruzioni) in una recente
audizione al Senato hanno sollecitato i parlamentari a modificare l’andazzo.    Alla Camera poco tempo fa è stata approvata con un voto bipartisan (2 soli
astenuti) la cosiddetta legge Valducci (da Mario Valducci , deputato Pdl) che impone sia l’utilizzo di parte dei proventi delle multe sia l’obbligo per
i proprietari delle strade di effettuare interventi costanti e programmati. Ma arrivato al Senato il testo si è impantanato e c’è chi dice che a frenare
sia soprattutto il relatore, Angelo Maria Cicolani, anche lui Pdl, ritenuto un buon amico delle Autostrade, società per niente entusiasta di vedersi imporre
per legge l’obbligo della manutenzione.    Il Parlamento italiano, inoltre, sta accingendosi a fare propria la direttiva comunitaria sulla cura delle strade
e sarà interessante vedere che piega verrà impressa alla faccenda. Se l’Italia, cioè, si limiterà a considerare l’atto europeo come una generica esortazione
oppure lo considererà vincolante per tutte le strade e non solo per gli 8.000 chilometri di vie di interesse continentale. Decisiva sarà la decisione sui
servizi ispettivi e di controllo. Alla Conferenza sul traffico di Riva del Garda, terminata il 28 ottobre, l’Aci si è proposto come “organismo indipendente
per la valutazione dei livelli di sicurezza delle infrastrutture”. Ma anche altre associazioni si stanno facendo avanti e non è escluso un coinvolgimento
dell’Inail (l’istituto per gli infortuni sul lavoro), ormai diventata una specie di cassaforte pubblica con oltre 11 miliardi di euro di liquidità. Nella
passata legislatura il ministro Alessandro Bianchi ricostituì la Direzione generale per la sicurezza stradale, smontata alcuni anni prima dal governo Berlusconi,
ma poi l’esecutivo di centrosinistra cadde e di quella struttura sono rimasti gli uffici, il responsabile e poco più. Questa estate il Governo ci ha ripensato
istituendo un altro ispettorato per le strade affidato ad un tecnico stimato, l’ingegner Pasquale Cialdini, e collocato nella sede dell’ex ministero della
Marina Mercantile all’Eur. Ma anche questa nuova struttura sembra un cane da guardia privo di denti. Con una sede grande e lussuosa, begli uffici, e poco
personale.

Questa voce è stata pubblicata in Notizie e Politica. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento